Marocco – Trekking nel deserto del Sahara – 21/30 dicembre 2013

 

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 A volte guardare i granelli di sabbia scorrere nel sottile vetro di una clessidra, dà l’impressione che il tempo passi velocissimo, che ci rincorra. Nonostante la società odierna ci conceda più o meno la stessa impressione, fra lavoro, scuola, corsi, famiglia, amici e hobbies, c’é un rimedio per uscire dalla “corsa” di una giornata quotidiana. In realtà, esiste più di una soluzione, ma quella offerta dalla Scuola Nordic Walking Bassano, oltre ad essere una scelta diversa dal diventare un eremita su un monte, è stata una scelta economica e alternativa.

Se dovessi definire l’esperienza vissuta nel deserto, oserei dire “intenso”. Guardiamo di nuovo quella clessidra, con i granelli che scorrono uno dietro l’altro: ecco, vivere per sette giorni e sei notti nel deserto del Sahara, in Marocco, è come essere uno di quei granelli, che cadono verso il basso senza limiti, senza regole e seguendo il loro ritmo.
Ogni granello di sabbia che cade è stato un secondo indimenticabile del viaggio. Dal gruppo con cui abbiamo avuto a che fare, al nostro gruppo di walkers, abbiamo affrontato l’esperienza così come ci veniva proposta, senza lamentele né ripensamenti.
Le piccole cose che sono passate, sciolte con il caldo del deserto o soffiate via dall’aria che alzava la sabbia, sono diventati piccoli momenti indimenticabili.
Arrivava la sera, Venere che brillava alta nell’imbrunire, in un cielo tinto di celesti, arancioni e rosa da una mano d’artista; eravamo tutti intorno al tavolo, la cena calda che riempiva le nostre bocche affamate. Si rideva, si conversava, e al momento giusto i berberi ci chiamavano a raccolta intorno al fuoco, per cantare, per parlare in quel misto di francese, spagnolo, arabo e italiano che conoscevano. Ci si capiva, e il calore del fuoco si faceva lieve in confronto al calore dei nostri cuori.
Le notti erano delle piccole parentesi di ghiaccio, dove l’escursione termica di 45 gradi che abbiamo raggiunto non ci ha impedito di svegliarci il giorno dopo, fare colazione e riprendere in mano i nostri bastoncini. Al grido di “Yalla!” (“Andiamo!”) della nostra guida Lasen, si spegnevano le voci per lasciare lo spazio al tic-toc della nostra camminata nordic.
Fra le dune, fermarsi era un errore: il silenzio era pesante, gravido, quasi una “tempesta”. Non si udiva un suono per kilometri, e faceva quasi male. Ma, oltrepassato la strana sensazione alle orecchie che non recepivano nulla, la vista cadeva sull’orizzonte, sull’infinito disperdersi di dune e di cielo, che correvano, salivano e scendevano e si baciavano nel punto più estremo che lo sguardo poteva raggiungere.
Fra una partita a carte e un saluto ai dromedari, tornavamo alle tende, e nuovamente alla cena.
Il viaggio era natura, e la natura era il nostro viaggio. Per andare in bagno, si prendeva un rotolo di carta igienica e ci si nascondeva dietro una duna. Per mangiare, si spolverava la sabbia dai piatti e si pregava che non si alzasse il vento. Per lavarsi, bisognava aspettare di raggiungere i pozzi dove prendere l’acqua. Per sorridere, bastava respirare quell’aria buona, quell’aria che pur stando in uno dei posti più estremi del mondo, era pregna di vita, di speranze, di buono. Non solo l’aria: il cielo, alzando la testa dopo le sette, era una coperta nera cosparsa di puntini, così nitidi che parevano disegnati apposta. Mai, nemmeno in visita al planetario, ho visto le stelle, le costellazioni, così vicine a me. Ci sommergevano e ci proteggevano, vegliando con la loro luce su di noi.
Non si può certo dire che non è stato un viaggio faticoso. Con il raggiungimento di 120 km, abbiamo macinato all’incirca 20 km al giorno, senza fermarci in nessuna occasione, neppure a Natale, ma la fatica è valsa la pena se pensiamo alle emozioni vissute.
Ogni tanto ripenso a quei paesaggi, alle dune dalle forme femminili, ai fiumi riarsi dal caldo, alle impronte che segnavano il cammino, alle rocce dai colori brillanti, e ripenso alle piante grasse e agli arbusti che vivono nel deserto. Quelle piante devono avere delle radici così profonde pur di raggiungere l’acqua per vivere, che sradicarle sarebbe una fatica immane. Ecco una metafora del nostro viaggio: siamo partiti con le migliori intenzioni di un’esperienza, ci siamo adattati a tutto ciò che abbiamo trovato, e una volta arrivato il momento di andarsene, abbiamo piantato i piedi nella sabbia e pensato: “Come posso abbandonare tutto questo?”
Il deserto verrà descritto da molti come un viaggio arduo, e non lo metto in dubbio, ma ora io penso ad esso come ad un prolungamento della parola “casa”.
“Casa” è dove ci sentiamo bene, un posto dove nonostante gli stress della vita quotidiana troviamo relax e conforto. Il deserto, è stato per me una “casa” di una settimana, dove ho staccato la spina e sono tornata piena di energie per l’anno nuovo.
Ogni granello di sabbia che corre velocissimo nella clessidra, nel deserto cadeva con un ritmo più definito: passo per passo, granello per granello, e sorpassata una duna più alta delle altre, ecco l’immane soddisfazione dello spuntare delle punte bianche delle tende, che dicevano “ce l’hai fatta, bentornato a casa”. (Irene C.)